viciousburger ha scritto:
l'unica cosa che mi suscita lo show delle elezioni usa è pena.
ma chissenefrega di quegli yankee che investono 15 milioni di dollari in attrezzature per fare le tac ai cani e c'hanno metà della popolazione che non ha l'assicurazione.
ma che vadano a cagare, loro e le loro elezioni da grande fratello.
C'è un po' di spocchia nel liquidare le elezioni americane come una sboronata. Soprattutto
queste elezioni. E' un modo di sfottere gli americani amatissimo da una sedicente intellighenzia tutta italiana composta da persone talvolta anche lontane come orientamento politico. Una lente tramite cui osservare il mondo (tutto il mondo tranne la nostra penisola, ovviamante) molto diffusa specialmente in una parte di sinistra radicale italiana che - mentre Berlusconi metteva le mani sul paese - era impegnata «a fumare cannoni, allevare cani e ballare reggae» come ha osservato un mio amico qualche giorno fa.
(ma ovviamente non mi riferisco a te, viciousburger)
I motivi per cui noi italiani davvero non siamo in condizione di guardare con sufficienza l'America - meglio, gli americani - nel 2008 sono tanti. E anche se non sono un politologo o un analista, ne scrivo qui qualcuno, perché oggi non ho un c@xxo da fare.
Siamo italiani.
In larga maggioranza abbiamo consegnato il paese a un governo strettamente e dichiaratamente imparentato con la malavita. Affondiamo sul piano morale, civile, e abbracciamo nuove forme di blando ma crescente fascismo. Il nemico pubblico numero uno è l'immigrato o il diverso in generale, i nostri sogni sono talmente piccoli e miserabili che stanno tutti dentro a un biglietto del superenalotto. Si lavora tanto e male, o poco e male. Larga parte della popolazione più giovane non vede un futuro possibilmente diverso dal presente. Chi può se ne va, chi resta si chiede perché.
La politica è lontana, argomento da bar se proprio vuoi. Se la destra è terra di maiali e briganti, il centrosinitra ha fatto salti mortali per farci allontanare da una qualsiasi forma di coinvolgimento dal basso e anche di fronte a una sconfitta decisiva come quella delle ultime politiche prersevera nel dare di sé una immagine miserabile, logora e incapace di regalare una visione condivisa e capace di attivare cuori e cervelli. Da parte nostra ci preoccupiamo poco, perché in Italia si mangia bene e i nostri stilisti sono apprezzati in tutto il mondo. La buona cucina e i bei vestiti ci salveranno, secondo alcuni.
Obama probabilmente non salverà il mondo, perché la politica sporca chi la fa.
Verrà forse a patti, disattenderà promesse e verrà criticato dagli stessi media ed elettori che l'hanno portato a una vittoria così netta. O forse no. Farà un primo passo verso il cambiamento, una nuova America, quindi un nuovo mondo. Su Obama certo non brillano solo luci: la sinistra radicale (quella americana, I mean) non è mai stata troppo generosa col nuovo presidente: non lo era prima e non lo è
oggi. In ogni caso è presto per parlarne.
Io non credo molto nei simbolismi, soprattutto in politica. E' vero che Obama è il primo capo di stato di colore in un paese in cui fino a pochi decenni fa il razzismo era diffuso e in qualche caso apertamente tollerato, se non praticato, dalle stesse istituzioni. Personalmente però trovo ancora più impressionante il fatto che il primo capo di stato eletto a larga maggioranza dopo otto anni di dottrina-Bush (quella degli stati canaglia, delle guerre preventive, dell'11 settembre e della minaccia islamica) sia figlio di un ateo con una educazione da musulmano alle spalle. Gli americani (un paese tanto bello quanto terribile composto da 300milioni di abitanti, fra votanti e non. Persone che con un'analisi non proprio illuminata nel 2008 chiamiamo con disprezzo
yankee) hanno fatto una scelta coraggiosa con una dignità che in Italia possiamo solo sognare.
Sognare, appunto. Hanno votato l'uomo che ha dato voce alla Costituzione, che ha fatto discorsi utilizzando termini come
faith,
hope e
God a spiegare una politica che guarda a sinistra, per ringraziare poi nel suo primo discorso da presidente «
black, white, Hispanic, Asian, Native American, gay, straight, disabled and not disabled». Roba che come minimo qui farebbe scoppiare lo scisma d'Oriente fra i sofismi dei politici da correntina di partito). Ha votato chi ha evocato il sogno americano come la promessa di un paese che fosse innanzi tutto un posto dignitoso in cui vivere, in una campagna elettorale che ha raccolto sì una cifra spropositata di fondi, ma fra gli stessi supporter e attivisti mobilitati soprattutto sul web.
Come scrive oggi Luca De Biase sul suo
blog: «poi i fatti diranno se queste lezioni sono state soltanto una bellissima campagna elettorale. Ma in un periodo in cui sono soprattutto le parole che ci mancano, anche una campagna come questa ha senso».
E se il problema è che «l'America ci sta sul c@xxo», io non mi stancherò mai di chiedervi di
quale America stiamo parlando?