In questi tre, quattro anni, la maledizione non si è placata..Eta. ha scritto: ↑07/10/2010, 14:27Sono io che creo associazioni tra l'aspetto e l'essenza (per così dire), probabilmente...Sghmpfff... Temo che continuerò a soffrire in silenzio, però... Ho idea che non riuscirò mai a liberarmi dei miei reticoli di associazioni malate...
Andiamo avanti.
Una storia recente ha alimentato ulteriormente le mie domande.
J., spilungone, con poca struttura, non bello, non brutto. Occhi piccoli. Che tende sempre a chiudere a fessura quando asserisce qualcosa, quando annuisce, quando immagina, quando ricorda. Quando critica con convinzione, l'occhio è proprio solo una fessurina. Spesso finge di bramare come il kattivo di un cartone e allora estremizza proprio questo tratto, stende per l'altezza tutte le palpebre inferiori e gli occhi non si vedono più.
In pratica, li socchiude durante l'80% di una conversazione.
Ma sono già stretti anche da aperti.
Io e J. abbiamo un buon rapporto pacifico e amichevole, che nasce per circostanza. Mi impegno ad apprezzare la sua buona volontà nell'essere gentile. Mi ci devo impegnare con coscienza, nonostante lui manifesti generosità e gratitudine, perché la sua grammatica facciale mi dice tutt'altro, tutto il tempo: non verso di me, ma verso l'esistenza, sul suo proprio approccio.
In verità J. mi dà questa sensazione fortissima di avere tutte le carte in regola per essere "un maniaco", lo immagino proprio da dio con un'ascia in mano fare a pezzetti qualcuno.
Io però credo ostinatamente nell'amore, per cui, a maggior ragione, do amore, do sorrisi, do ascolto – do anche sempre onestà, e non gli offro il caffè se non mi va o ho da fare, perché la finzione non funziona, né ha senso comunicare cosa non si prova, e quando resto a parlare con lui voglio che lui senta che mi va davvero: e così è anche dentro di me, mi va davvero, davvero sono dentro quel momento, sono in contatto con quell'umano.
Per me J. diventa un po' una sfida nel temprare equilibrio, empatia, affetto, apertura, sincerità, amicizia.
(E così diventa anche una meta-sfida, perché, per vincere la mia sfida, la sfida non deve diventare lo scopo del rapporto, è il rapporto che deve restare lo scopo della sfida. Vedere tutto questo come sfida deve solo essere una vitamina di giocosità per la mia energia.)
Un giorno, dopo mesi, J. mi dice che tante gente pensa che lui abbia tendenze maniache
perché ha gli occhi piccoli.
In quel momento, da una parte io mi sento una cogliona cosmica, dall'altra mi stringo la mano.
Sono una lombrosiana di m.rd@, mi dico, ma meno male che ho qualche altra carta nel cervellino che mi suggerisce sempre di andare un pochetto oltre – abbastanza oltre, dai: nel frattempo mi pare che il rapporto stia maturando proprio bene.
Passa qualche altro mesetto, J. quel giorno è quasi euforico, ha un'euforia rara, ha l'euforia dell'"eureka": gli sembra di star capendo chi è, di star facendo quadrare tutto (…), di starsi avvicinando alla risoluzione del proprio puzzle. Cin cin!
In tutta quest'euforia, per la prima volta J. fa un discorso su me e lui, mi ringrazia per essere una delle poche ragazze che si è sempre comportata col cuore e con sincerità.
Naturalmente, mi espone per bene quest'identità trovata, o quasi trovata, con l'aiuto del suo psych.
Si tratta di un profilo raro, rarissimo, infatti lui è così gasato anche perché è una roba proprio preziosa.
J. scopre di non essere affatto uno qualunque.
Per esempio, mi dice J., è lo stesso profilo di… Anders Behring Breivik, il tipo che ha fatto esplodere la bomba in Norvegia, nonché oggetto del link di Q nell'ultimo post qui sopra, in un (bell')articolo in cui si nota come Breivik non abbia la classica fisiognomica malvagia.
Ora che ci bado, anche Breivik ha gli occhi piccoli.
A ogni modo, naturalmente le semplificazioni culminate in Lombroso sono abominevoli e, se tutto questo discorso ha un minimo di senso, ritengo che i tratti somatici rivelatori siano sfumature e dettagli, piuttosto. Difficilissimi da contornare, e che mi auguro che NON vengano più adottati come esatti criteri scientifici, criminologici.
Il profilo psicologico di cui mi parla J., oltre a Breivik, appartiene anche a pochissimi altri, molti dei quali notevolmente altrettanto spostatelli.
C'è una cosa in particolare che trovo rilevante, ai fini di questo topic.
Avevamo citato casi in cui si confondono un po' i confini di causa-effetto, abbiamo postato le ghigne di quegli eroinomani che sembrano proprio degli eroinomani, abbiamo scritto che, se non hai un soldo per curarti, è più facile che finirai sdentato e che un giorno sembrerai un pirata.
J. è fortunato ed è bravo, mi pare stia facendo un bel percorso personale e stia gestendo bene la parte di sé stesso che si è ritrovato. Non farà esplodere bombe (ma se sentite brutte notizie da Utrecht, tranqui, sicuramente mi risparmierà), anzi, credo che stia diventando, piano piano, proprio un bravo umano.
Però quell'ingrediente, a quanto pare, è da qualche parte dentro di lui, e si percepisce anche da fuori.
(E da ciò mi emerge un'altra domandona: dove incomincia, se c'è, il nocciolo di noi su cui possiamo solo lavorare, ma che non possiamo cambiare?)
(Chiedo scusa per la mia totale incapacità sintetica.)
