Chocolat Café
il collaborazione con
Comune di Cremona
Politiche Giovanili
presenta
RASSEGNA CINEMATOGRAFICA DI CINEMA CINESE
A cura di Carmine Caletti
Lunedì 12 febbraio
LE BICICLETTE DI PECHINO
Lunedì 19 febbraio
BALZAC E LA PICCOLA SARTA CINESE
Lunedì 26 febbraio
FERRO 3 - LA CASA VUOTA
Lunedì 5 marzo
2046
Le proiezioni avranno luogo presso il TEATRO MONTEVERDI di Via Dante 149 e inizio alle 21:00
INGRESSO GRATUITO
Rassegna cinematografica di CINEMA CINESE
Moderatore: maio
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Scusa, McA, ma Ferro 3 non e' coreano?
Essendo girato e scritto da un regista sudcoreano... e ambientato a Seul, no?
Essendo girato e scritto da un regista sudcoreano... e ambientato a Seul, no?
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Hai ragione, infatti specifico che la dicitura A cura di si riferisce al fatto che io scrivo le schede critiche dei film da distribuire al pubblico; la scelta dei quattro titoli è tutta del Chocolat Café.
Ciao da McA e da Francesco Caravagli, responsabile relazioni esterne Radio Fujiko.
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Si, lo so. Ma non e' per rompere i c°§li°ni, e' che il cinema coreano e' veramente diverso da quello cinese, come tematiche, come tempi...
Cioe', In The Mood For Love, per capire meglio 2046?
Cioe', non c'e' neanche un film di Yimou Zhang!
Lanterne Rosse, Vivere!, Ju Dou, cacchiolina... ok, sono vecchi...
Ma HERO?! BELLISSIMO!
E La foresta dei pugnali volanti!?
Ed e' il primo che mi viene in mente...
Vabbe', scusate, non e' per rompere il c@xxo... e' che adoro Kim Ki-duk...
Cioe', In The Mood For Love, per capire meglio 2046?
Cioe', non c'e' neanche un film di Yimou Zhang!
Lanterne Rosse, Vivere!, Ju Dou, cacchiolina... ok, sono vecchi...
Ma HERO?! BELLISSIMO!
E La foresta dei pugnali volanti!?
Ed e' il primo che mi viene in mente...
Vabbe', scusate, non e' per rompere il c@xxo... e' che adoro Kim Ki-duk...
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anch'io adoro Kim Ki-duk... penso che i suoi film siano meravigliosi.
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Lunedì 12 febbraio, ore 21:00, Teatro Monteverdi (Via Dante, 149), ingresso libero.
RASSEGNA CINEMATOGRAFICA DI CINEMA CINESE
LE BICICLETTE DI PECHINO
di Wang Xiaoshuai
Cina/Francia, 2001
Difficile resistere alla tentazione di mettere a confronto Le biciclette di Pechino con il capolavoro neorealista Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. C'è un protagonista che ben rappresenta la classe lavoratrice; c'è la sua bicicletta, mezzo fondamentale per svolgere il suo lavoro; c'è una città che sta cambiando. Infatti il suggestivo sfondo è quello di una Pechino delineata principalmente dai grattacieli scintillanti, la Pechino contemporanea, la Pechino delle opportunità economiche.
La bicicletta del protagonista, e la privazione dell'oggetto stesso, diventano il simbolo delle aspirazioni di un'intera popolazione, disorientata tra la tensione tra passato e futuro, tra turbolenze politiche ed economia stagnante. Il film funziona anche per questo, perché punta verso un pubblico giovane senza però cadere nella trappola del giovanilistico: Le biciclette di Pechino offre più di una prospettiva di immedesimazione, ma è anche un film da vedere senza porsi troppe domande, lasciandosi coinvolgere semplicemente dalla storia, immergendosi nel clima ora poetico e lieve, ora duro e violento.
L'abilità di Wang Xiaoshuai alla regia è indubbia: si passa dai dosatissimi movimenti di macchina su piani ravvicinati ai campi lunghi più estremi, e questo volutamente duplice linguaggio cinematografico accompagna la narrazione, catturando sia le sfaccettature più intime dei personaggi che il "battito" della capitale.
Una splendida pellicola sulla nuova Cina.
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LE BICICLETTE DI PECHINO
di Wang Xiaoshuai
Cina/Francia, 2001
Difficile resistere alla tentazione di mettere a confronto Le biciclette di Pechino con il capolavoro neorealista Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. C'è un protagonista che ben rappresenta la classe lavoratrice; c'è la sua bicicletta, mezzo fondamentale per svolgere il suo lavoro; c'è una città che sta cambiando. Infatti il suggestivo sfondo è quello di una Pechino delineata principalmente dai grattacieli scintillanti, la Pechino contemporanea, la Pechino delle opportunità economiche.
La bicicletta del protagonista, e la privazione dell'oggetto stesso, diventano il simbolo delle aspirazioni di un'intera popolazione, disorientata tra la tensione tra passato e futuro, tra turbolenze politiche ed economia stagnante. Il film funziona anche per questo, perché punta verso un pubblico giovane senza però cadere nella trappola del giovanilistico: Le biciclette di Pechino offre più di una prospettiva di immedesimazione, ma è anche un film da vedere senza porsi troppe domande, lasciandosi coinvolgere semplicemente dalla storia, immergendosi nel clima ora poetico e lieve, ora duro e violento.
L'abilità di Wang Xiaoshuai alla regia è indubbia: si passa dai dosatissimi movimenti di macchina su piani ravvicinati ai campi lunghi più estremi, e questo volutamente duplice linguaggio cinematografico accompagna la narrazione, catturando sia le sfaccettature più intime dei personaggi che il "battito" della capitale.
Una splendida pellicola sulla nuova Cina.
Ultima modifica di McA il 16/02/2007, 21:00, modificato 1 volta in totale.
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Lunedì 19 febbraio, ore 21:00, Teatro Monteverdi (Via Dante, 149), ingresso libero.
RASSEGNA CINEMATOGRAFICA DI CINEMA CINESE
BALZAC E LA PICCOLA SARTA CINESE
di Dai Sijie
Cina/Francia, 2002 (uscita italiana: 2004)
Cina rurale, primi anni Settanta. Sono gli ultimi anni della presidenza del dittatore Mao Tse-tung, gli anni della Rivoluzione Culturale al suo apice, gli anni della messa al bando di tutto ciò che proviene dai Paesi capitalisti, gli anni della rieducazione dei figli della borghesia e dei "nemici del popolo", gli anni in cui, per poter suonare col proprio violino un brano di Mozart, bisogna fingere che si intitoli Mozart Che Pensa Al Presidente Mao.
I libri proibiti (soprattutto i romanzi francesi) diventano quindi un modo per evadere, per liberare la propria immaginazione, per conoscere mondi lontani e completamente sconosciuti (se non addirittura inconcepibili), per sottrarsi al peso di giornate sempre uguali, fatte di lavoro massacrante e di pasti a base di cavolo bianco e mais.
Con la stessa forza del rock per i giovani occidentali degli anni cinquanta, le pagine lette abbattono muri, aprono gli occhi, causano la liberazione intellettuale e sessuale dei protagonisti, i giovani Ma e Luo, nemmeno ventenni, e della piccola sarta, loro coetanea (un triangolo che non può non ricordare quello di Jules e Jim). La trasgressione, leggere ciò che è vietato leggere, provoca un piacere sottilmente erotico, che sfocia in passione sfrenata.
Quello del maestro Dai Sijie (cinese trapiantato in Francia) è uno sguardo impietoso sulla Cina oppressiva e dittatoriale, e un discorso sulla libertà, declinata a più livelli. Significativo il fatto che un altro suo grande film porti il titolo di Cina, mio dolore (premio Jean Vigo 1989).
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BALZAC E LA PICCOLA SARTA CINESE
di Dai Sijie
Cina/Francia, 2002 (uscita italiana: 2004)
Cina rurale, primi anni Settanta. Sono gli ultimi anni della presidenza del dittatore Mao Tse-tung, gli anni della Rivoluzione Culturale al suo apice, gli anni della messa al bando di tutto ciò che proviene dai Paesi capitalisti, gli anni della rieducazione dei figli della borghesia e dei "nemici del popolo", gli anni in cui, per poter suonare col proprio violino un brano di Mozart, bisogna fingere che si intitoli Mozart Che Pensa Al Presidente Mao.
I libri proibiti (soprattutto i romanzi francesi) diventano quindi un modo per evadere, per liberare la propria immaginazione, per conoscere mondi lontani e completamente sconosciuti (se non addirittura inconcepibili), per sottrarsi al peso di giornate sempre uguali, fatte di lavoro massacrante e di pasti a base di cavolo bianco e mais.
Con la stessa forza del rock per i giovani occidentali degli anni cinquanta, le pagine lette abbattono muri, aprono gli occhi, causano la liberazione intellettuale e sessuale dei protagonisti, i giovani Ma e Luo, nemmeno ventenni, e della piccola sarta, loro coetanea (un triangolo che non può non ricordare quello di Jules e Jim). La trasgressione, leggere ciò che è vietato leggere, provoca un piacere sottilmente erotico, che sfocia in passione sfrenata.
Quello del maestro Dai Sijie (cinese trapiantato in Francia) è uno sguardo impietoso sulla Cina oppressiva e dittatoriale, e un discorso sulla libertà, declinata a più livelli. Significativo il fatto che un altro suo grande film porti il titolo di Cina, mio dolore (premio Jean Vigo 1989).
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io come un piccolo cinese saro obbligato da jooaa Tse Tung in questa sala cinematografica....
ce qualcuno che viene o saro costretto a fare delle evoluzioni pornografiche dato l'assenza di tutto e tutti nella sala?
(lo so lo so ce la festa di carnevale)
ce qualcuno che viene o saro costretto a fare delle evoluzioni pornografiche dato l'assenza di tutto e tutti nella sala?
(lo so lo so ce la festa di carnevale)

Ultima modifica di joaopinta il 19/02/2007, 16:17, modificato 1 volta in totale.
roveretooooooooo!
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FERRO 3 - LA CASA VUOTA
di Kim Ki-duk
Corea Del Sud, 2004
Lineare ed enigmatico al tempo stesso, Ferro 3 - La casa vuota è un film sull'arte dell'invisibilità: invisibilità sociale, perché il ciclo vitale del protagonista consiste nel nomadismo e nella conquista di sempre nuovi spazi vuoti (le case temporaneamente libere dai propri inquilini); invisibilità psicologica, perché non ci è dato conoscere da che cosa derivi questa reiterata ricerca (di che cosa, poi? Ammesso che di ricerca si possa parlare); invisibilità fisica, quando il corpo si nasconde oltre le possibilità dell'occhio.
La narrazione, dall'andamento chiaro ma sommesso, trova una svolta allo sbocciare di un amore vero, dolce, coinvolgente. Le piccole azioni, gli sguardi, i silenzi, sono la cifra di un sentimento che può fare a meno delle parole. Kim Ki-duk sceglie di mettere in scena un racconto per immagini: il privilegio della parola è riservato esclusivamente ai personaggi minori (sotto tutti i punti di vista, specialmente quello umano).
La storia si esplica come una successione di splendide fotografie: movimenti di macchina ridotti all'osso, grande attenzione al dettaglio, inquadrature sospese in equilibrio tra l'asettico e il descrittivo, montaggio che privilegia la reticenza, perfetti fuori fuoco che mostrano alternativamente un personaggio o l'altro.
Il ferro 3, nel golf, è la mazza meno utilizzata: allo stesso modo, questo film è un inno all'assenza, al diverso, al silenzio, all'amore, in opposizione alla società dell'apparire, del conformismo, del rumore, dell'indifferenza.
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FERRO 3 - LA CASA VUOTA
di Kim Ki-duk
Corea Del Sud, 2004
Lineare ed enigmatico al tempo stesso, Ferro 3 - La casa vuota è un film sull'arte dell'invisibilità: invisibilità sociale, perché il ciclo vitale del protagonista consiste nel nomadismo e nella conquista di sempre nuovi spazi vuoti (le case temporaneamente libere dai propri inquilini); invisibilità psicologica, perché non ci è dato conoscere da che cosa derivi questa reiterata ricerca (di che cosa, poi? Ammesso che di ricerca si possa parlare); invisibilità fisica, quando il corpo si nasconde oltre le possibilità dell'occhio.
La narrazione, dall'andamento chiaro ma sommesso, trova una svolta allo sbocciare di un amore vero, dolce, coinvolgente. Le piccole azioni, gli sguardi, i silenzi, sono la cifra di un sentimento che può fare a meno delle parole. Kim Ki-duk sceglie di mettere in scena un racconto per immagini: il privilegio della parola è riservato esclusivamente ai personaggi minori (sotto tutti i punti di vista, specialmente quello umano).
La storia si esplica come una successione di splendide fotografie: movimenti di macchina ridotti all'osso, grande attenzione al dettaglio, inquadrature sospese in equilibrio tra l'asettico e il descrittivo, montaggio che privilegia la reticenza, perfetti fuori fuoco che mostrano alternativamente un personaggio o l'altro.
Il ferro 3, nel golf, è la mazza meno utilizzata: allo stesso modo, questo film è un inno all'assenza, al diverso, al silenzio, all'amore, in opposizione alla società dell'apparire, del conformismo, del rumore, dell'indifferenza.
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2046
di Wong Kar-wai
Cina, 2004
Seguito ideale di In The Mood For Love, di cinque anni prima, questo 2046 di Wong Kar-wai riprende il personaggio dello scrittore Chow.
La vicenda si sviluppa a partire dal 1966, anno della Rivoluzione Culturale e dei primi scontri di piazza.
L'incursione della Storia nella narrazione del film si ferma però immediatamente, perché tutto il resto della pellicola non è che un'esplorazione autoreferenziale che lo scrittore rivolge verso la propria vita, specialmente sentimentale.
Il numero 2046 assume molteplici significati, tanto da diventare una sorta di ossessione ricorsiva che il protagonista rivive, volente o nolente. È semplicemente il numero della stanza d'albergo in cui Chow si rifugia, non solo fisicamente, ma anche spiritualmente: in questa camera, annegando nel lavoro, Chow trova una modalità di piacevole (o solo compiaciuta?) alienazione; nondimeno, è anche il numero che identifica un futuristico spazio-tempo, i cui sviluppi narrativi (che ricordano quelli di Blade Runner) hanno portato certa parte della critica a classificare 2046 come film di fantascienza, etichetta a mio avviso profondamente fuori luogo e sviante.
È semmai vero che la rappresentazione del futuro ha una funzione terapeutica, che aiuta lo scrittore a riflettere sul passato, e che 2046 è essenzialmente un film sul ricordo e sulla memoria, sulla vacuità dei rapporti sociali intrattenuti solo per terrore di rimanere soli, sulla mercificazione del sesso e sulla fragilità dell'amore.
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2046
di Wong Kar-wai
Cina, 2004
Seguito ideale di In The Mood For Love, di cinque anni prima, questo 2046 di Wong Kar-wai riprende il personaggio dello scrittore Chow.
La vicenda si sviluppa a partire dal 1966, anno della Rivoluzione Culturale e dei primi scontri di piazza.
L'incursione della Storia nella narrazione del film si ferma però immediatamente, perché tutto il resto della pellicola non è che un'esplorazione autoreferenziale che lo scrittore rivolge verso la propria vita, specialmente sentimentale.
Il numero 2046 assume molteplici significati, tanto da diventare una sorta di ossessione ricorsiva che il protagonista rivive, volente o nolente. È semplicemente il numero della stanza d'albergo in cui Chow si rifugia, non solo fisicamente, ma anche spiritualmente: in questa camera, annegando nel lavoro, Chow trova una modalità di piacevole (o solo compiaciuta?) alienazione; nondimeno, è anche il numero che identifica un futuristico spazio-tempo, i cui sviluppi narrativi (che ricordano quelli di Blade Runner) hanno portato certa parte della critica a classificare 2046 come film di fantascienza, etichetta a mio avviso profondamente fuori luogo e sviante.
È semmai vero che la rappresentazione del futuro ha una funzione terapeutica, che aiuta lo scrittore a riflettere sul passato, e che 2046 è essenzialmente un film sul ricordo e sulla memoria, sulla vacuità dei rapporti sociali intrattenuti solo per terrore di rimanere soli, sulla mercificazione del sesso e sulla fragilità dell'amore.
Ciao da McA e da Francesco Caravagli, responsabile relazioni esterne Radio Fujiko.
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2046 è splendido.
poetico, intenso, classico.
bellissima colonna sonora, meravigliosi i costumi e l'ambientazione (sia quella anni '60, sia quella nel 2046), le storie si intrecciano sapientemente tramite il filo rosso dei sentimenti del protagonista (sfiorando il palindromo).
attrici bellissime e una regia sfavillante che sembra un personaggio in più.
splendido.
p.s.: se "Le biciclette di Pechino" ricordava Ladri di biciclette e "Balzac e la piccola sarta cinese" "Jules et Jim", 2046 ha molti paralleli con "L'uomo che amava le donne".
poetico, intenso, classico.
bellissima colonna sonora, meravigliosi i costumi e l'ambientazione (sia quella anni '60, sia quella nel 2046), le storie si intrecciano sapientemente tramite il filo rosso dei sentimenti del protagonista (sfiorando il palindromo).
attrici bellissime e una regia sfavillante che sembra un personaggio in più.
splendido.
p.s.: se "Le biciclette di Pechino" ricordava Ladri di biciclette e "Balzac e la piccola sarta cinese" "Jules et Jim", 2046 ha molti paralleli con "L'uomo che amava le donne".
Ultima modifica di Q il 06/03/2007, 20:09, modificato 1 volta in totale.
“Condividere saperi, senza fondare poteri”
Primo Moroni
Primo Moroni
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Bene, la rassegna si chiude qui.
Contento dei commenti positivi da parte delle (comunque poche) persone che hanno partecipato.
Non è da escludere che il cinema cinese torni in un'altra rassegna cremonese, probabilmente più lunga di questa, a partire dalla prossima stagione.

Contento dei commenti positivi da parte delle (comunque poche) persone che hanno partecipato.
Non è da escludere che il cinema cinese torni in un'altra rassegna cremonese, probabilmente più lunga di questa, a partire dalla prossima stagione.

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