Caro Amministratore, io farei un altro tentativo riguardo le lezioni di giornalismo "politicamente scorrette". Innanzitutto perchè ho dimostrato che solo pochi conoscono il criterio di notiziabilità (vedi Torchio punto da un calabrone) e pochissimi conoscono i "trucchi" che stanno dietro il confezionamento delle notizie.
Se questo tentativo abortisce o tu non sei d'accordo, non insisterò oltre.
Nella prossima lezione porto anche esempi nazionali e internazionali, non solo personali.
Lezione 3
Come taroccare un servizio o un articolo
Nella mia breve carriera giornalistica, che secondo alcuni finirà presto in galera!, ho realizzato e scritto almeno 5.000 servizi o articoli. Forse, ne ho taroccati 15; 10 è una buona approssimazione. Un assaggio del taroccamento lo si è evinto dalla lezione precedente, quella sull’invenzione. Il taroccamento è, in realtà, un aggiustamento del servizio o dell’articolo.
Sui giornali
Ad esempio, se Bobo Vieri condisce la sua intervista con “boo”, “maa”, “non so”... cosa potete scrivere sul giornale? Li riportate così come sono? Impossibile. Bisogna rendere le parole di Vieri appetibili. Così sulla carta stampata, l’intervista è sempre più aggiustabile. Anche le domande “poco intelligenti” del giornalista possono apparire “a tono”. E in tivù?
In tivù
Ho imparato a porre una domanda in modo da non sentirmi mai contraddetto. Non desidero che mi rispondano: “No, non è così”. A meno che non ci sia un “confronto” o che la mia domanda sia intenzionalmente propensa ad avere una risposta negativa. Spesso mi sento rispondere “esatto”. Significa che ho posto una domanda “intelligente”. Ma il giornalista non può sapere tutto di tutto e allora concorda prima la domanda o, altrimenti, non la pone: fa un’affermazione da incalzo; affermazione sempre concordata prima.
Le inchieste
Nelle inchieste è impossibile mettersi d’accordo. Così può capitare di andare - che ne so - a Mantova durante non il mitico Festivalletteratura a porre domande anche in lingua straniera, ma al Festival della Canzone, quello contro l’istituzionale “Sanremo”. Ebbene, pochissimi dei duecento presenti voleva rispondere al microfono di una giornalista: solo due, insufficienti. Ce ne volevano almeno cinque. Così una signora che disse: “Non sono qui per il festival... con... per accompagnare mia figlia”. In onda, dopo un taglietto, disse: “Sono qui per il festival... con... mia figlia”. La giornalista domandò ad un’altra quale cantante preferisse e questa rispose: “Mi piace Little Tony”. La giornalista: “Non c’è Little Tony. Chi le piace?” Risposta: “Gino Paoli”. Bingo! Così le pose alcune domande sul cantante e via. Al terzo, per fare cinque, che rispose: “Vengo solo per vedere la gente che viene. È tutto un gran casino”, fu fatto dire: “Vengo vedere per la gente... un gran casino”. E sembrava divertito.
Le foto
Beh, qui ci sono stati scandali su scandali durante la guerra in Libano. Un fotografo professionista ha reso più scuro il fumo di un incendio dopo un bombardamento, ad esempio. Che dire di Emilio Fede! Il maestro del TG4 pubblica sempre foto bellissime di Silvio Berlusconi e bruttissime di Prodi. Non vuole vedere bandiere rosse al tiggì e che altro c’è da dire...
Le notizie
Non avete una notizia per riempire il secchiello? Quelle che vi arrivano dalle agenzie sono minchiate? Ad esempio, è stato arrestato uno spacciatore con 20 dosi di eroina? Facile, quelle 20 dosi diventano 200 e la notizia fa bella figura nel vostro palinsesto o pastone che sia.
L’incidente
L’episodio più incredibile di taroccamento che mi è capitato di sentire è relativo ad un incidente stradale sulla gardesana. Protagonista fu un giornalista bresciano, John se vi pare: tipico nome bresciano.
Una mattina gli venne imposto di fare un servizio su un incidente stradale e in un’ora. Nel tardo pomeriggio del giorno prima, un’auto era uscita di strada. A bordo c’erano padre, madre e figlio. Il padre fu ricoverato a Mantova, il figlio a Brescia. La madre morì sul colpo. Come da procedura, lesse il giornale per conoscerne la dinamica (CtrlC, CtrlV) e andò in due luoghi: quello di residenza e quello dell’incidente.
La casa di questa famiglia, originaria dell’isola di Colombo, era uno scantinato. Non avevano il campanello. Nessuno li conosceva bene. I vicini li salutavano al mattino, quando andavano al lavoro, ed alla sera, quando tornavano. Così insistette finché due signore - esauste - non acconsentirono a rilasciare due parole. “Erano brave persone, gente tranquilla... ci dispiace tanto”. Questo fu quello che lui suggerì loro. Parlarono per 30 secondi, un terzo del servizio.
Poi andò sulla strada, ma non sul luogo dell’incidente. Esso era troppo lontano per andare e tornare in tempo. Così prese un tratto della strada dove - sperò - ci fossero dei segni sull’asfalto. Li trovò: erano segni in gesso di tecnici stradali. Peccato che mancasse il cavalcavia immortalato dalle foto dei giornali: nessuno se ne accorse. Nelle vicinanze, c’era un pezzo di parafango abbandonato lì chissà da quanto tempo. Lo fece passare per un rottame “rimasto a testimonianza dall’incidente”.
E l’auto incidentata? La parte più importante del servizio... Il carrozziere che raccolse la carcassa, non era naturalmente nelle vicinanze. Così John andò da un altro carrozziere (e di fiducia) e fece filmare un’altra auto incidentata nello stesso punto, ma senza mostrarla troppo.
E le foto della deceduta? Furono prese dal giornale e ritoccate con photoshop.
Questo è l’episodio più clamoroso. Mi sento di assolvere John? No, assolutamente. Ma se un lavoratore deve portare a casa il servizio (e la pagnotta) va di fantasia. Come i registi ricostruiscono le ambientazioni di cento anni fa, anche i micro-giornalisti ricostruiscono la scena di un “evento”.
ancora G.A.I.O.
Moderatore: .ferro
Lezione 4
Come spacciare una falsa notizia. Ovvero: il giornalista deve sempre verificare le fonti.
Cos’è la fonte giornalistica? La metafora “acquosa” è la più istruttiva. Come la fonte per eccellenza è il luogo dove scaturisce l’acqua, così la fonte giornalistica è il “luogo” dove nasce l’informazione. E nel dire informazione, si vuole distinguere da notizia. Mai succede che tutte le informazioni acquisite dal giornalista diventino notizie, siano cioè notiziabili, e vengano divulgate. Dunque, quando una fonte sgorga notizie, il giornalista va col secchiello (quello famoso, da riempire) e lo riempie oppure filtra l’acqua più importante. Altre volte - e qui casca l’asino - l’acqua viene trasportata da un altro giornalista ed il nostro protagonista si trova acqua “già bevuta e digerita, anche sputata”.
Le fonti si distinguono in dirette ed indirette. Dirette: il giornalista beve alla sua fonte. Indirette: beve acqua già bevuta. Dirette: manifestazioni, informatori... Indirette: agenzie, altri giornali, conferenze stampa...
Le fonti si distinguono anche in primarie e secondarie. Primarie: agenzie, perché ben strutturate, forniscono cascate di notizie; anche istituzioni, come politica e magistratura. Secondarie: ad esempio, i testimoni di un fatto che raccontano un incidente.
In tutti i casi, il giornalista DEVE verificare le fonti.
Lo può fare sempre? No, assolutamente. Esempio: arriva una notizia da Bergamo e lui è a Cremona. Come fa a sapere che uno scontro fra manifestanti e polizia è avvenuto in piazza del Duomo e che il bilancio è di dieci feriti? Si fida dell’agenzia, più che del giornalista. E questo è un rischio gravissimo. Spesso capita che vi siano giornalisti spacciatori di minchiate, come quel tale che disse che Prisciandaro (Cremonese 2005) aveva salutato romanamente la curva. Invece, aveva il braccio ingessato. Si era fidato dell’agenzia (Adnkronos) anche il Tgcom. Altre volte, il giornalista cita l’agenzia: “Il nuovo segretario di Stato vaticano sarà Tarcisio Bertone. Lo ha riferito l’Apcom”. Era vero? I tiggì non lo sapevano ed hanno citato la fonte. Dopo un mese si scoprì che era vero. L’Apcom ci ha fatto una gran bella figura. Anche il suo corrispondente, del resto!
Informatori
Sono il capitolo serio delle fonti. Il giornalista li protegge, li coccola e se ne serve per arrivare tempestivamente sull’evento. Anche loro “usano” i giornalisti per gli scopi più vari e non sempre cristallini. Il vigile del fuoco che chiama perché c’è un incendio. Il carabiniere che rivela al giornalista un’operazione importante e non ancora “divulgata”. Il magistrato che “perde” per caso il fascicolo con le intercettazioni. Tutto questo è al limite della legalità. Il giornalista non deve mai rendere noti i nomi delle proprie fonti: è contro la deontologia. E questo è un grave reato. In Italia, però, se un giudice ritiene che sia indispensabile conoscere il nome di un informatore perché “non c’è altro modo per risolvere un processo”, allora il giornalista è obbligato a scoprire la propria fonte. Può sembrare un regresso. In realtà, è un progresso. Fino a poco tempo fa il segreto professionale non esisteva per il giornalista.
Lo scherzo
Questo è vero e risale all’aprile 2002. Arriva in redazione - per email - la notizia di un concerto country di un mito americano in un locale cremonese firmata da una qualunque con un numero di telefono inventato.
La Voce:
Questa sera alle 23 nel locale Maverick di via Ghinaglia, si esibirà l’artista musicale “country” Franz Adam Schisser, texano di nascita e tedesco d’origine, accompagnato dalla moglie Karol Hure. Il duo è famosissimo in Texas, sopratutto nel profondo sud dello Stato, fra San Antonio e Laredeo, al confine col Mexico.L’artista texano ha appena lanciato il suo terzo album: “Give me a beer little girl on the river”.
La Cronaca:
Spazio al country, questa sera dalle 23, presso il western pub Maverick di via Ghinaglia. Suggestioni dal profondo sud degli Stati Uniti, dunque, che prenderanno forma musicale questa sera con l’esibizione di Franz Ardem Schisser, uno dei più acclamati musicisti texani, accompagnato dalla moglie Karol Hure. Franz si trova in Italia per una vacanza dopo il lancio del suo terzo album “Give me a beer little girl on the river”.
La Provincia (una brevissima nel pastone):
Western Maverick (Cremona). Appuntamento con Franz Ardem Schisser, artista country, accompagnato dalla moglie Karol Hure.
Avete notato l’errore della Voce sul nome. Eppoi, Hure significa “putt@n@”. Schisser è “merdaiolo” in un dialetto germanico. Erdam è anagramma di “m.rd@”. “Give me a beer little girl on the river” è roba da The Simpsons...
La sera del concerto: sconcerto. L’autrice della mail ha scritto di nuovo per spiegare il suo gesto ed ha ricevuto eco solo dalla Voce. Gli altri due giornali non l’hanno filata. Dall’articolo pareva che ci fosse una folla: “Concerto, solo un pesce d’aprile. La notizia burla è arrivata via e-mail a tutti i quotidiani locali”.
Morale: i giornalisti - tutti - si possono fidare di una email qualunque, di un indirizzo qualunque, senza minimamente verificare che il numero di telefono in calce corrispondesse ad una persona? Nemmeno chiamare il gestore del locale che notoriamente non organizzava mai concerti? Dico organizzava, perché dopo - vista la folla - ha pensato bene che, nonostante gli spazi stretti, un concertino ogni tanto non avrebbe guastato!
Come spacciare una falsa notizia. Ovvero: il giornalista deve sempre verificare le fonti.
Cos’è la fonte giornalistica? La metafora “acquosa” è la più istruttiva. Come la fonte per eccellenza è il luogo dove scaturisce l’acqua, così la fonte giornalistica è il “luogo” dove nasce l’informazione. E nel dire informazione, si vuole distinguere da notizia. Mai succede che tutte le informazioni acquisite dal giornalista diventino notizie, siano cioè notiziabili, e vengano divulgate. Dunque, quando una fonte sgorga notizie, il giornalista va col secchiello (quello famoso, da riempire) e lo riempie oppure filtra l’acqua più importante. Altre volte - e qui casca l’asino - l’acqua viene trasportata da un altro giornalista ed il nostro protagonista si trova acqua “già bevuta e digerita, anche sputata”.
Le fonti si distinguono in dirette ed indirette. Dirette: il giornalista beve alla sua fonte. Indirette: beve acqua già bevuta. Dirette: manifestazioni, informatori... Indirette: agenzie, altri giornali, conferenze stampa...
Le fonti si distinguono anche in primarie e secondarie. Primarie: agenzie, perché ben strutturate, forniscono cascate di notizie; anche istituzioni, come politica e magistratura. Secondarie: ad esempio, i testimoni di un fatto che raccontano un incidente.
In tutti i casi, il giornalista DEVE verificare le fonti.
Lo può fare sempre? No, assolutamente. Esempio: arriva una notizia da Bergamo e lui è a Cremona. Come fa a sapere che uno scontro fra manifestanti e polizia è avvenuto in piazza del Duomo e che il bilancio è di dieci feriti? Si fida dell’agenzia, più che del giornalista. E questo è un rischio gravissimo. Spesso capita che vi siano giornalisti spacciatori di minchiate, come quel tale che disse che Prisciandaro (Cremonese 2005) aveva salutato romanamente la curva. Invece, aveva il braccio ingessato. Si era fidato dell’agenzia (Adnkronos) anche il Tgcom. Altre volte, il giornalista cita l’agenzia: “Il nuovo segretario di Stato vaticano sarà Tarcisio Bertone. Lo ha riferito l’Apcom”. Era vero? I tiggì non lo sapevano ed hanno citato la fonte. Dopo un mese si scoprì che era vero. L’Apcom ci ha fatto una gran bella figura. Anche il suo corrispondente, del resto!
Informatori
Sono il capitolo serio delle fonti. Il giornalista li protegge, li coccola e se ne serve per arrivare tempestivamente sull’evento. Anche loro “usano” i giornalisti per gli scopi più vari e non sempre cristallini. Il vigile del fuoco che chiama perché c’è un incendio. Il carabiniere che rivela al giornalista un’operazione importante e non ancora “divulgata”. Il magistrato che “perde” per caso il fascicolo con le intercettazioni. Tutto questo è al limite della legalità. Il giornalista non deve mai rendere noti i nomi delle proprie fonti: è contro la deontologia. E questo è un grave reato. In Italia, però, se un giudice ritiene che sia indispensabile conoscere il nome di un informatore perché “non c’è altro modo per risolvere un processo”, allora il giornalista è obbligato a scoprire la propria fonte. Può sembrare un regresso. In realtà, è un progresso. Fino a poco tempo fa il segreto professionale non esisteva per il giornalista.
Lo scherzo
Questo è vero e risale all’aprile 2002. Arriva in redazione - per email - la notizia di un concerto country di un mito americano in un locale cremonese firmata da una qualunque con un numero di telefono inventato.
La Voce:
Questa sera alle 23 nel locale Maverick di via Ghinaglia, si esibirà l’artista musicale “country” Franz Adam Schisser, texano di nascita e tedesco d’origine, accompagnato dalla moglie Karol Hure. Il duo è famosissimo in Texas, sopratutto nel profondo sud dello Stato, fra San Antonio e Laredeo, al confine col Mexico.L’artista texano ha appena lanciato il suo terzo album: “Give me a beer little girl on the river”.
La Cronaca:
Spazio al country, questa sera dalle 23, presso il western pub Maverick di via Ghinaglia. Suggestioni dal profondo sud degli Stati Uniti, dunque, che prenderanno forma musicale questa sera con l’esibizione di Franz Ardem Schisser, uno dei più acclamati musicisti texani, accompagnato dalla moglie Karol Hure. Franz si trova in Italia per una vacanza dopo il lancio del suo terzo album “Give me a beer little girl on the river”.
La Provincia (una brevissima nel pastone):
Western Maverick (Cremona). Appuntamento con Franz Ardem Schisser, artista country, accompagnato dalla moglie Karol Hure.
Avete notato l’errore della Voce sul nome. Eppoi, Hure significa “putt@n@”. Schisser è “merdaiolo” in un dialetto germanico. Erdam è anagramma di “m.rd@”. “Give me a beer little girl on the river” è roba da The Simpsons...
La sera del concerto: sconcerto. L’autrice della mail ha scritto di nuovo per spiegare il suo gesto ed ha ricevuto eco solo dalla Voce. Gli altri due giornali non l’hanno filata. Dall’articolo pareva che ci fosse una folla: “Concerto, solo un pesce d’aprile. La notizia burla è arrivata via e-mail a tutti i quotidiani locali”.
Morale: i giornalisti - tutti - si possono fidare di una email qualunque, di un indirizzo qualunque, senza minimamente verificare che il numero di telefono in calce corrispondesse ad una persona? Nemmeno chiamare il gestore del locale che notoriamente non organizzava mai concerti? Dico organizzava, perché dopo - vista la folla - ha pensato bene che, nonostante gli spazi stretti, un concertino ogni tanto non avrebbe guastato!